La manovra cancella l’Istituto per il commercio estero. Spariscono le funzioni e il personale viene assorbito dai ministeri. Col risultato che una macchina ben oliata sparisce per risparmiare pochi euro. Contro il parere degli imprenditori
di Cecilia Tosi
da Left (15 luglio 2011)
L'Ente che serve si cambia. Oppure, se si chiama Ice, si congela. L’Istituto per il commercio estero chiude ma non scompare, secondo quanto deciso dal decreto di stabilizzazione, perché personale e funzioni saranno assorbiti in parte (gli uffici romani) dal ministero per lo Sviluppo e in parte (i dirigenti all’estero) dalla Farnesina. In realtà chiusura dell’istituto significa chiusura dei programmi di promozione, dell’assistenza alle aziende, delle iniziative volte all’export. Significa sacrificare lo sviluppo per uscire dalla crisi. Come voler uscire da un fosso tagliandosi le braccia.
L’Istituto per il commercio estero funziona, lo sanno tutti. All’indomani della chiusura si lamentano gli imprenditori: «Tutto è pronto per i Saloni WorldWide, 400 aziende che scaldano i muscoli per Mosca, ma l’Ente cofinanziatore, l’Ice, è stato abolito dalla manovra finanziaria e i Saloni in Russia sono a rischio, creando difficoltà concrete alla Federazione», ha detto Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo.
«La chiusura dell’Ice diffonde un clima di incertezza per le imprese, specie in un momento molto delicato come questo», sostengono i calzaturieri presieduti da Cleto Sagripanti, «dove sembra profilarsi una leggera ripresa e c’è assoluto bisogno di politiche di internazionalizzazione forti ed efficaci».
E invece, delle politiche di internazionalizzazione il governo se ne infischia. In Gran Bretagna, l’Ente per il commercio estero ha ricevuto, nel 2010, 328 milioni di euro, in Giappone 236 milioni, in Francia 212 e in Spagna 204. L’Italia ne ha dati all’Ice appena 135 milioni - di cui 50 destinati alla promozione delle imprese - e adesso chiude direttamente l’Istituto. Gli imprenditori restano sbigottiti, persino la Marcegaglia si lamenta: «Pensavamo a una riforma dell’istituto, non a una sua eliminazione». Eppure il governo ci prova già da un po’: nel 2010 si era già parlato di chiusura, ma all’ultimo momento l’Ice si era salvato. «Navighiamo in cattive acque da quando il ministero per il Commercio è confluito in quello per lo Sviluppo», ci spiega un funzionario dell’istituto che vuole restare anonimo. «Abbiamo perso progressivamente peso fino all’arrivo del ministro Paolo Romani, che è stato nominato per occuparsi di comunicazioni, non certo di commercio estero. Il budget per la promozione era in discesa libera: tre anni fa 100 milioni, quest’anno 50 e il prossimo erano previsti 30. Però l’Ice i soldi li moltiplica». Non si tratta di pani e pesci, ma di investimenti statali che attirano quelli privati: i 50 i milioni spesi nella promozione sono diventati 120. Alle iniziative che finanzia, infatti, l’Ice fa partecipare le aziende, che a volte coprono anche per il 70 per cento del budget. Così fiere e seminari dedicati al made in Italy raccolgono ingenti fondi privati che fruttano al sistema Italia. In più, ci sono le entrate che provengono dal servizio di assistenza alle aziende: l’Ice fornisce informazioni e offre una consulenza a pagamento a imprese interessate all’export: per quest’anno la previsione di incasso è tra i 5 e i 6 milioni. Mica male. Fin qui le perdite ottenute con la chiusura dell’istituto. E il risparmio? «Prossimo alla zero», ci spiega il funzionario, «perché l’unica voce di spesa tagliata è quella degli stipendi del consiglio di amministrazione, composto da appena 5 persone. Le altre buste paga (640 dipendenti, ndr) resteranno invariate e quelle poche decine di milioni destinati alla promozione delle imprese non potranno essere eliminati, se non si vuole irritare ulteriormente Confindustria». Le risorse verranno semplicemente disperse, questo perché il governo erlusconi ama la razionalizzazione. Ci spiega Laura Garavini, deputata Pd eletta all’estero, nella circoscrizione Europa:
«Lo spacchettamento tra due ministeri non è costruttivo, soprattutto perché richiederà l’istituzione di una nuova agenzia che svolga le funzioni ora svolte dall’Ice e quindi, invece di diminuire, i soggetti aumenteranno, creando nuovi costi». Per ora, però, non è dato sapere chi si occuperà delle attività promozionali, un settore che attualmente comprende 700 iniziative all’anno, vale a dire due al giorno. E c’è chi li chiama fannulloni. «La certificazione che non siamo da buttare è che ad ogni fiera c’è la fila per i nostri servizi», continua il funzionario, «e che nel sistema di valutazione che sottoponiamo alle imprese, il 90 per cento di quelli che si sono rivolti a noi si sono dichiarati soddisfatti o molto soddisfatti». Ma perché nel 2010 l’Ice è sopravvissuto e nel 2011 no? «Il direttore Umberto Vattani si è sempre affidato a Gianni Letta», spiega, «L’anno scorso ha funzionato, adesso no. Forse perché Letta non ha più i margini di manovra di una volta».
Le aziende dovranno rassegnarsi. Gli uffici all’estero confluiranno nella ambasciate e per stimolare l’export il ministro Frattini sostiene di voler puntare sugli Istituti di cultura italiana fuori dai confini nazionali. La Farnesina ha sempre aspirato a integrare i vari servizi e a ricondurre altri soggetti sotto il suo controllo, «ma non ci si può relazionare a mercati maturi», spiega il funzionario, «dove le imprese conoscono già bene le merci italiane, invitando i partner a mangiare mozzarelle e ascoltare la pizzica. Ci sono situazioni in cui serve selezionare le aziende migliori per un determinato target, senza buttare tutto in un calderone di generica italianità». Il ministero degli Esteri, però, ama l’inclusione. Tanto che, dopo le ultime lamentele di Confindustria, Frattini sta pensando se inglobare tutto l’Ice nella Farnesina. L’Istituto si salverebbe, ma il suo approccio sarebbe completamente diverso: se adesso l’Ice manda negli uffici all’estero solo un italiano - il direttore - e per il resto
usa personale locale, la Farnesina preferisce spedire dall’Italia - e queste sì che sono spese - tutti i dipendenti: dal dattilografo all’autista. Per non parlare della procedura di contabilità utilizzata dall’Istituto per i suoi servizi alle imprese, necessariamente più snella rispetto a quella burocrazia ministeriale: «sarebbe impossibile aiutare un’azienda», sostiene il funzionario.
L’Ice è una vittima sacrificale. Di chi voleva dimostrare di poter chiudere qualcosa. E di chi gli ha preferito le camere di commercio. Sono queste iultime, infatti, l’altra faccia della presenza italiana all’estero, associazioni di imprese, organizzazioni private, che forniscono servizi a chi paga. Sono loro a sopravvivere alla sforbiciata, perché con lo Stato non hanno niente a che fare e dunque neanche con gli interessi pubblici. Sono diventate sempre più importanti da quando è stato istituito il voto per gli italiani all’estero, «in alcuni casi possono aver funzionato da veri e propri comitati elettorali», sostiene il funzionario Ice, «Non lo escludo», commenta Laura Garavini. Quel che è certo è che alcuni deputati eletti all’estero presentano nel loro curriculum incarichi di rilievo nelle Camere di commercio italiane nel mondo. Di formazione “camerale”, sarà un caso, anche l’attuale capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo. «Non bisogna dimenticare che sono strutture di carattere privato», sottolinea Garavini, «che finora sono state in concorrenza con l’Ice e che si fanno pagare per i loro servizi». Con un avversario in meno guadagneranno di più.
E nonostante le rassicurazioni del governo sul mantenimento dei posti di lavoro, c’è anche qualcuno che a piedi ci resta: sono i 103 vincitori del concorso del 2008 che non sono ancora stati assorbiti. Loro resteranno a vagare nel limbo creato da due paroline del decreto: «in servizio». Il personale che verrà reintegrato nel ministero dello Sviluppo, infatti, è quello attualmente seduto dietro una scrivania, non quello in graduatoria. Eppure li avevano selezionati perché, come spiega Cinzia Nannipieri del Comitato Vincitori non assunti Ice, «l’Istituto aveva necessità di 300 persone in più, vista la quantità di lavoro crescente sia a Roma che all’estero». Il concorso vinto da 107 persone - di cui solo 4 sono stai assunti dal 2008 - è costato un sacco di soldi «e adesso, alla faccia del risparmio, potrebbe essere vanificato tutto», spiega Nannipieri, «perché far passare una graduatoria da un Ente a un altro, dall’Ice al ministero, è impresa ardua. E pensare che alla Camera, in commissione lavoro, stanno discutendo da settimane di un meccanismo per superare il blocco del turn over». I 103 vincitori, tutti qualificatissimi e specializzati in materie internazionali, rischiano di restare in attesa per sempre, perché l’Ente a cui dovrebbero fare ricorso non esiste più. Il governo ha trovato una soluzione buona per tutti i problemi: se non vuoi rispondere a una domanda, diventa muto.
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