Ice in bilico, per il rilancio più efficienza e 70 milioni
Solo un terzo del budget va alla promozione delle imprese
di Giuseppe Sarcina
di Giuseppe Sarcina
da Corriere della Sera (09 maggio 2011)
L'ufficio di Skopie spende circa 300 mila euro all'anno, tutto compreso. Ma per trovare la Repubblica di Macedonia nelle statistiche delle esportazioni italiane, più che un economista servirebbe un entomologo. Che dire del «desk» di Sarajevo (Bosnia-Erzegovina) o di Baku (Azerbaijan)? D'accordo, la rete dell'Istituto nazionale per il commercio con l'estero (Ice) si presta a mille aneddoti e a una sola conclusione: costa e non è il massimo dell'efficienza I primi a riconoscerlo, in fondo, sono i dirigenti dell'ente pubblico, finanziato dallo Stato e sottoposto alla vigilanza del ministero dello Sviluppo economico. In questi giorni si stanno completando le procedure per chiudere 20 uffici su un totale di 115, soprattutto in Europa (Amsterdam, Lisbona, Dublino, Oslo, Helsinki, Atene). E proprio oggi scatta il ricambio al vertice. Presidente dell'istituto resta Umberto Vattani, ma il direttore generale Massimo Mamberti (66 anni) lascia il posto a Gabriele Andreetta (49 anni), vicepresidente della Cassa di Risparmio di Asti e consigliere comunale del Pdl a Nizza Monferrato. Nel curriculum del neodirettore non figurano esperienze che abbiano travalicato le dolci colline piemontesi. Ma il cda dell'Ice lo ha selezionato tra sette candidati (cinque interni). Su di lui si è posata la mano del ministro Paolo Romani che lo considera il manager giusto per il rilancio. In realtà il futuro dell'Ice non è chiaro: il governo dovrebbe ottenere in questi giorni la proroga di dieci mesi della legge delega «sull'internazionalizzazione» delle imprese. L'idea sarebbe quella di mettere un po' d'ordine, da qui alla fine dell'anno, in una batteria di strumenti frammentati e spesso confusionari. In Italia circa la metà delle 193 mila aziende esportatrici preferisce far tutto da sola E già questo è un dato che dovrebbe far riflettere visto che, sulla carta, sarebbero a disposizione non solo la rete dell'Ice, ma quella delle Camere di Commercio, le iniziative delle Regioni e di enti più specifici come Enit (turismo) o Buonitalia (agroalimentare). Due anni fa l'Ice ha rischiato perfino la chiusura secca (insieme con altri enti), prevista dal ministro Giulio Tremonti e poi revocata grazie alle pressioni messe in campo da Vattani. Ora si riparte da zero e con una nuova proposta avanzata dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: privatizzate l'Ice, lo gestiamo noi imprenditori. Un'ipotesi giudicata «interessante, dopo anni di progressivo distacco», da Beniamino Quintieri, economista e presidente dell'istituto dal 2001 al 2005. Ma cambiare un ente pubblico che ha 85 anni di storia non è una cosa immediata. Basta dare un'occhiata al bilancio. Nel 2010 le uscite per il semplice funzionamento dell'organizzazione ammontavano a 74 milioni di euro, mentre gli investimenti per l'attività vera e propria di promozione erano pari a 33 milioni. Come dire: l'Ice utilizza due terzi del budget per mantenersi vivo e solo un terzo per perseguire gli obiettivi istituzionali. Per un privato questo rapporto si definisce in un solo modo: inefficienza. Ma dal punto di vista del diritto pubblico dell'economia, le cose sono diverse. «Dobbiamo decidere che cosa deve fare dell'Ice — sostiene il direttore uscente Mamberti — se deve assistere tutte le imprese o solo quelle che garantiscono un ritorno economico. Se lo Stato decide di intervenire, non può selezionarsi i clienti». Ancora un paio di numeri: nel 2002 la voce «mantenimento» assorbiva 125 milioni di euro, mentre quella per «l'operatività» era pari ago milioni. Le proporzioni, dunque, erano più equilibrate. E così sono rimaste fino a un paio di anni fa, quando la stretta economica ha imposto tagli anche in questo settore. Le riduzioni, però, si sono scaricate sul capitolo operativo (passando dai 90 milioni degli anni duemila ai 54 milioni del 2010 e ai 33 del 2011). Per quale motivo? Risposta facile: le spese di «mantenimento» sono quasi intoccabili, poiché i dipendenti italiani dell'Ice beneficiano delle garanzie del contratto pubblico su stipendi, orari, spostamenti di sede. L'unica leva è quella del blocco delle assunzioni, più volte applicato: il numero degli addetti è diminuito da 1.200 (2002) ai 630 di oggi. Anche per questi vincoli (giusti o sbagliati che siano) è oggettivamente difficile ribaltare, come chiede Confindustria, la proporzione tra coloro che lavorano in Italia e quelli che operano sul campo all'estero (erano 800 nel 2002, oggi sono circa 500, tutti con contratti di diritto privato). In ogni caso questa impalcatura rischia di gin reggere la concorrenza dei Paesi esportatori vicini. L'Ice promuove circa 14 mila imprese all'anno e si prepara, dunque, a spendere 33 milioni nel 2011. Contro i 252 del «sistema Germania» (misto pubblico-privato), i 105 della Francia, i 112 del Regno Unito e i 110 della Spagna. Lasciando perdere gli imprendibili tedeschi, tra «noi» e gli «altri» c'è una differenza di circa 70 milioni di euro. Chi li mette sul piatto? La proposta - II presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ieri sul palco alle Assise di Bergamo "Lo Stato privatizzi la gestione Ice", Confindustria si candida
L'ufficio di Skopie spende circa 300 mila euro all'anno, tutto compreso. Ma per trovare la Repubblica di Macedonia nelle statistiche delle esportazioni italiane, più che un economista servirebbe un entomologo. Che dire del «desk» di Sarajevo (Bosnia-Erzegovina) o di Baku (Azerbaijan)? D'accordo, la rete dell'Istituto nazionale per il commercio con l'estero (Ice) si presta a mille aneddoti e a una sola conclusione: costa e non è il massimo dell'efficienza I primi a riconoscerlo, in fondo, sono i dirigenti dell'ente pubblico, finanziato dallo Stato e sottoposto alla vigilanza del ministero dello Sviluppo economico. In questi giorni si stanno completando le procedure per chiudere 20 uffici su un totale di 115, soprattutto in Europa (Amsterdam, Lisbona, Dublino, Oslo, Helsinki, Atene). E proprio oggi scatta il ricambio al vertice. Presidente dell'istituto resta Umberto Vattani, ma il direttore generale Massimo Mamberti (66 anni) lascia il posto a Gabriele Andreetta (49 anni), vicepresidente della Cassa di Risparmio di Asti e consigliere comunale del Pdl a Nizza Monferrato. Nel curriculum del neodirettore non figurano esperienze che abbiano travalicato le dolci colline piemontesi. Ma il cda dell'Ice lo ha selezionato tra sette candidati (cinque interni). Su di lui si è posata la mano del ministro Paolo Romani che lo considera il manager giusto per il rilancio. In realtà il futuro dell'Ice non è chiaro: il governo dovrebbe ottenere in questi giorni la proroga di dieci mesi della legge delega «sull'internazionalizzazione» delle imprese. L'idea sarebbe quella di mettere un po' d'ordine, da qui alla fine dell'anno, in una batteria di strumenti frammentati e spesso confusionari. In Italia circa la metà delle 193 mila aziende esportatrici preferisce far tutto da sola E già questo è un dato che dovrebbe far riflettere visto che, sulla carta, sarebbero a disposizione non solo la rete dell'Ice, ma quella delle Camere di Commercio, le iniziative delle Regioni e di enti più specifici come Enit (turismo) o Buonitalia (agroalimentare). Due anni fa l'Ice ha rischiato perfino la chiusura secca (insieme con altri enti), prevista dal ministro Giulio Tremonti e poi revocata grazie alle pressioni messe in campo da Vattani. Ora si riparte da zero e con una nuova proposta avanzata dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: privatizzate l'Ice, lo gestiamo noi imprenditori. Un'ipotesi giudicata «interessante, dopo anni di progressivo distacco», da Beniamino Quintieri, economista e presidente dell'istituto dal 2001 al 2005. Ma cambiare un ente pubblico che ha 85 anni di storia non è una cosa immediata. Basta dare un'occhiata al bilancio. Nel 2010 le uscite per il semplice funzionamento dell'organizzazione ammontavano a 74 milioni di euro, mentre gli investimenti per l'attività vera e propria di promozione erano pari a 33 milioni. Come dire: l'Ice utilizza due terzi del budget per mantenersi vivo e solo un terzo per perseguire gli obiettivi istituzionali. Per un privato questo rapporto si definisce in un solo modo: inefficienza. Ma dal punto di vista del diritto pubblico dell'economia, le cose sono diverse. «Dobbiamo decidere che cosa deve fare dell'Ice — sostiene il direttore uscente Mamberti — se deve assistere tutte le imprese o solo quelle che garantiscono un ritorno economico. Se lo Stato decide di intervenire, non può selezionarsi i clienti». Ancora un paio di numeri: nel 2002 la voce «mantenimento» assorbiva 125 milioni di euro, mentre quella per «l'operatività» era pari ago milioni. Le proporzioni, dunque, erano più equilibrate. E così sono rimaste fino a un paio di anni fa, quando la stretta economica ha imposto tagli anche in questo settore. Le riduzioni, però, si sono scaricate sul capitolo operativo (passando dai 90 milioni degli anni duemila ai 54 milioni del 2010 e ai 33 del 2011). Per quale motivo? Risposta facile: le spese di «mantenimento» sono quasi intoccabili, poiché i dipendenti italiani dell'Ice beneficiano delle garanzie del contratto pubblico su stipendi, orari, spostamenti di sede. L'unica leva è quella del blocco delle assunzioni, più volte applicato: il numero degli addetti è diminuito da 1.200 (2002) ai 630 di oggi. Anche per questi vincoli (giusti o sbagliati che siano) è oggettivamente difficile ribaltare, come chiede Confindustria, la proporzione tra coloro che lavorano in Italia e quelli che operano sul campo all'estero (erano 800 nel 2002, oggi sono circa 500, tutti con contratti di diritto privato). In ogni caso questa impalcatura rischia di gin reggere la concorrenza dei Paesi esportatori vicini. L'Ice promuove circa 14 mila imprese all'anno e si prepara, dunque, a spendere 33 milioni nel 2011. Contro i 252 del «sistema Germania» (misto pubblico-privato), i 105 della Francia, i 112 del Regno Unito e i 110 della Spagna. Lasciando perdere gli imprendibili tedeschi, tra «noi» e gli «altri» c'è una differenza di circa 70 milioni di euro. Chi li mette sul piatto? La proposta - II presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ieri sul palco alle Assise di Bergamo "Lo Stato privatizzi la gestione Ice", Confindustria si candida
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