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Una regia forte per il commercio estero

Da Il Sole24Ore del 02 luglio 2010:

Una regia forte per il commercio estero
di Stefano Marzocchi

Un mese fa, a Shanghai, le missioni commerciali degli Stati Uniti e della Germania si sono incrociate. Il commercio estero tedesco con Pechino è quasi in pareggio, mentre il deficit americano con la Cina era di oltre 200 miliardi di dollari lo scorso anno. Dalle dichiarazioni degli uomini d'affari statunitensi presenti alla missione emergono tre punti principali. Primo, la Germania è un modello nel sostegno statale alle imprese esportatrici, e l'amministrazione Usa dovrebbe fare di più. Secondo, uno dei nodi della questione è il training per le imprese che vogliono affacciarsi sui mercati lontani, e il governo dovrebbe occuparsene. Terzo, sono le Pmi statunitensi quelle che soffrono di più, perché non hanno le risorse per affacciarsi sul mercato cinese e conquistarsi le loro nicchie. Pareri, certo, di imprenditori e manager interessati a ottenere più sostegno per i loro affari. Ma significativi, se consideriamo anche il dibattito nostrano sul futuro dell'Ice e della promozione all'export in Italia.
Si può discutere se il sostegno governativo all'export sia auspicabile, e molti analisti sono pronti a sostenere con buoni argomenti che non lo sia. Ma in almeno due casi si può ragionevolmente ritenere che possa esistere uno spazio per il ruolo dei governi. Un caso è quello delle Pmi che necessitano di infrastrutture esterne, materiali o immateriali, per entrare nei mercati esteri, e che non hanno la stazza per fare ciascuna da sé: un fallimento del coordinamento, soprattutto. Un altro caso è quelle delle commesse pubbliche, dove la diplomazia gioca un ruolo importante per decidere la nazionalità del venditore.
Il modello Usa è stato, finora, quello di molte agenzie (fino a una decina) che indipendentemente sostengono e finanziano le imprese esportatrici. La critica dei manager Usa è che manca una regia, e un "gioco di squadra". La National Export Initiative di Obama punta anche a rispondere a questa istanza, con quali risultati si vedrà.
La Germania ha invece un modello più centralizzato, che ruota attorno al Bmwi, il ministero federale dell'Economia e della Tecnologia. Da notare che, in entrambi i casi, parliamo di due stati federali. Il Bmwi dichiara di avere, tra i suoi obbiettivi, proprio il sostegno all'internazionalizzazione delle Pmi, che sono meno numerose che negli Stati Uniti e in Italia, e soprattutto più grandi che nel nostro paese (sono medie, più che piccole imprese, con il nostro metro nazionale). Il punto davvero interessante è che il "modello tedesco", una volta stabilita la regia centrale del Bmwi, fa ampio ricorso alla sussidiarietà: un fulcro del sistema sono le Camere di commercio all'estero - che hanno un ruolo molto incisivo - e che sono finanziate per solo un quarto dal governo, mentre per il resto si auto-finanziano con gli associati (costo complessivo 130 milioni di euro all'anno). C'è poi una rete di "export business angel" che hanno esperienza e conoscenze nei diversi mercati, e vengono attivati a seconda delle necessità. C'è poi un forte impegno in termini di garanzie sul credito all'export, rispetto al quale si procede continuamente ad aggiornare i plafond e gli strumenti, sempre sotto la regia del governo ma con il contributo di tutti gli attori. E poi le missioni, frequenti, sempre al massimo livello e molto ben strutturate.
Lezioni per l'Italia? Della riforma dei nostri enti per l'export si discute da almeno 10 anni, quindi la prima lezione è fare presto: la ripresa si va consolidando ora, il suo centro non è in Europa, quindi serve rapidità. La seconda lezione è che - stati federali inclusi - una regia forte è la soluzione migliore. Infine, la sussidiarietà orizzontale e il coinvolgimento dei privati riducono costi e tempi, e migliora la circolazione dell'informazione. Delle due ipotesi in campo oggi, il trasferimento di una parte rilevante dell'Ice sotto la Farnesina, oppure la costituzione di una nuova società che incorpori i diversi enti per l'export (Ice, Simest, Sace ecc.), la prima rischia di diluire la missione di sostenere le Pmi (forse più che le medie e grandi imprese) dentro un'istituzione che ha molti altri compiti, anche se dispone della rete delle ambasciate (per la verità, spesso poco votate all'economia). L'altra ipotesi accentrerebbe la missione in una sola, nuova istituzione, che però necessiterebbe di un forte investimento politico a sostegno, con una chiara individuazione del ministero di riferimento. In entrambi i casi serve rapidità e continuità di azione, per consolidare successi come il padiglione dell'Expo di Shangai o le missioni del sistema-Italia. E serve il coinvolgimento delle nostre banche: non si tratta - per queste - solo di assecondare l'export con nuove linee di credito e prodotti finanziari innovativi (qui le banche si stanno già muovendo) ma di stimolare l'export delle piccole, coordinando le conoscenze che le banche già hanno delle imprese clienti e dei mercati esteri, con un investimento in termini di valutazione dei progetti industriali. Si tratterebbe di un esempio virtuoso di sussidiarietà, che forse un giorno potremmo "vendere" all'estero come un modello.


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