Miope guerra di competenze a danno del Paese
di Giorgio Santilli
da Il Sole 24 Ore (15 luglio 2011)
Le riforme a metà possono a volte risultare più dannose della situazione antecedente che volevano modificare o riconvertire. Non solo perché costituiscono un'occasione perduta e cristallizzano nel tempo squilibri nuovi assumendo impropriamente il nome nobile di "riforma". Ma anche perché generano nuovi conflitti, nuove distorsioni, nuove guerre di competenze, distogliendo l'attenzione dall'obiettivo principale per spostarla su questioni particolari, che riguardano interessi piccoli e non di rado miopi.
A questa fotografia corrisponde oggi perfettamente la riforma abortita dell'Ice, l'Istituto per il commercio estero che è stato soppresso per rendere più efficiente la politica di sostegno ai processi di internazionalizzazione delle nostre imprese. Obiettivo lungimirante. Anche disegno iniziale lungimirante. Per una volta, si è detto, la politica è capace di guardare avanti.
L'idea era quella di trasferire le competenze dell'ex Ice a un'agenzia che fosse in rapporto diretto con le strutture del ministero degli Esteri, sfruttando la rete della Farnesina all'estero.
In questo modo i dualismi durati decenni all'interno del governo sarebbero stati superati. L'agenzia avrebbe potuto anche avvalersi di un contributo, di idee e di risorse finanziarie, di soggetti privati, imprenditoriali, associativi.
Questo disegno lungimirante era riemerso, dopo essersi inabissato nei percorsi bizzarri delle discussioni interne al governo di una manovra così ambiziosa e pesante, in un emendamento ripresentato dal Pd al Senato. Un emendamento sostanzialmente bipartisan, dunque, considerando che aveva l'appoggio di gran parte del governo, compresi i ministri degli Esteri Frattini e dell'Economia Tremonti.
A opporsi soltanto il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani. C'è da capire, se ragioniamo nella classica logica ministeriale, le resistenze di un ministro che si è visto spogliare nel corso degli ultimi anni di numerose competenze e risorse, fra cui la politica di coesione per il Sud e la gestione dei fondi europei e dei fondi Fas.
Il discorso cambia, però, se usciamo dalla logica ministeriale e ragioniamo sugli interessi delle imprese e del Paese, considerando che ormai la competizione anche delle nostre aziende medie e piccole si gioca su una scala internazionale.
Secondo questo interesse generale, la resistenza accanita del ministro dello Sviluppo economico sul mantenimento di uno "strapuntino" di qualche centinaio di dipendenti della rete nazionale e della gestione dei fondi è miope.
Si preferisce mantenere in piedi una guerra di competenza sterile, altamente dannosa, anzi, a scapito del sostegno unitario alle nostre imprese. Per quanto deve durare ancora questa guerra di competenze? Non sarebbe stato più ragionevole, più lungimirante chiudere la partita fasulla della difesa dei territori ministeriali e dare vita a qualcosa di adeguato per i tempi che viviamo? Noi crediamo di sì.
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